Le emoji
Da dove hanno origine le emoji? La comunicazione, sia scritta che orale, è in continua evoluzione. Lo abbiamo visto già dai primi alfabeti fenici in cui gli ideogrammi si sono gradualmente trasformati in lettere. Ad esempio, la lettera “A” (Aleph), inizialmente scritta alla rovescia, nasce dalla rappresentazione stilizzata della testa di un bue. Ora, stiamo assistendo al processo inverso: le immagini stanno sostituendo le parole. Probabilmente, dobbiamo questa inversione di tendenza al fatto che la società attuale è sempre più concentrata sull’apparenza e preferiamo disporre di centinaia di simboli o icone piuttosto che limitarci ad utilizzare poco più di venti caratteri.
Lo smile
La prima emoji universalmente nota è lo “smile”. Compare per la prima volta nel 1962, quando una radio di New York lo riproduce sopra una felpa per donarla agli ascoltatori. La radio regala migliaia di felpe con un’icona molto simile allo smile: fondo giallo con occhi e bocca neri. Nel 1963, una compagnia assicurativa ingaggia il grafico Harvey Ball per creare un’icona in grado di sollevare il morale ai dipendenti ed egli disegna lo smile così come tutti noi lo conosciamo. La compagnia produce oltre 50 milioni di spille con il suo design.
Nel 1972 lo smile giunge in Europa, quando Franklin Loufrani cerca una nuova campagna per il giornale francese France Soir e decide di “contrassegnare” le notizie come positive o negative, in modo tale che i lettori possano, attraverso un’occhiata, scegliere di leggere il tipo di notizie di maggior interesse. Loufrani intuisce il potenziale successo della sua icona e registra il marchio in oltre cento paesi.
Nello stesso periodo, Bernard e Murray Spain si impadroniscono del disegno di Ball e cominciano a produrre e vendere merchandising negli USA. Producono spille, tazze, tshirt, felpe, approfittando della mancata registrazione del marchio negli Stati Uniti. A questo punto i due registrano il marchio aggiungendo la dicitura “Have a Happy Day”. Nel 1996 il figlio di Franklin Loufrani, Nicolas, eredita dal padre la Smiley Company. Nicolas fa realizzare una guida ufficiale all’utilizzo del marchio e chiude contratti di distribuzione in tutto il mondo. La Smiley Company diventa rapidamente un colosso.
Nel 2001 Charlie Ball, il figlio di Harvey, fonda la World Smile Foundation: una fondazione che dona i suoi proventi a fondazioni benefiche e caritatevoli, probabilmente il modo migliore di sfruttare il marchio del sorriso.
La guerra per lo sfruttamento commerciale dello smile molto probabilmente non avrà fine. Il simbolo inventato da Harvey Ball è uno dei segni più riconoscibili del nostro tempo. Chi sia il vero “proprietario” dello smile ha poca importanza. Ciò che sappiamo è che il sorriso giallo rimarrà a lungo nel nostro linguaggio.
Le emoticon
La naturale trasposizione dello smile nel mondo digitale avviene con la nascita della prima emoticon nel 1982 per mano di Scott Fahlman, ricercatore di informatica alla Carnegie Mellon University.
In un post sulla chat della rete dell’università, Scott propone di utilizzare la sequenza di caratteri 🙂 per dare una connotazione ironica ai messaggi scritti nella comunicazione digitale.
Da quel momento in poi, si moltiplicano le riproduzioni delle espressioni del viso attraverso la sola punteggiatura o glifi, con le cosiddette emoticon. Il nome emoticon è la crasi (mescolanza) delle parole emotion e icon ovvero “icone che trasmettono emozioni”.
Le faccine si diffondono capillarmente diventando un contenuto quasi imprescindibile in sms, messaggi Whatsapp ed email fino all’avvento delle emoji. In una recente intervista, Scott Falham definisce le emoji orrende perché privano l’utente della sfida di trasmettere un’emozione con i soli caratteri. Poi, rettifica dicendo che probabilmente sostiene questa tesi solo perché non è stato lui ad inventarle. 😉
Le emoji
Il nome emoji deriva da 絵 e (immagine), 文 mo (scrittura) e 字 ji (carattere). È la compagnia di telecomunicazioni giapponese NTT DoCoMo, sotto la supervisione del grafico giapponese Shigetaka Kurita, a svilupparle e rilasciarle per telefoni cellulari e cercapersone. Shigetaka propone alla compagnia un modo migliore per incorporare le immagini nel limitato spazio visivo degli schermi dei cellulari. Le emoji riscuotono un successo incredibile e vengono copiate dalle aziende rivali in Giappone. Dodici anni dopo, quando Apple rilascia un set molto più ampio per l’iPhone, le emoji diventano una nuova forma di comunicazione digitale globale.
L’importanza di questi elaborati ha spinto il MOMA di New York ad inserirli nella propria collezione permanente e ad esporli nell’atrio del museo.
L’introduzione delle emoji ha agevolato l’ascesa della pratica della messaggistica testuale e della posta elettronica mobile. Basandosi su varie fonti, il set di Kurita include illustrazioni di fenomeni meteorologici, pittogrammi e una gamma di volti espressivi. Semplici, eleganti e incisive, le emoji piantano i semi per l’esplosione di un nuovo linguaggio visivo. Quando nel 2015 il termine “emoji” viene decretato parola dell’anno, le faccine che utilizziamo nei nostri messaggi ricevono una vera e propria consacrazione. Le emoji originali sono molto diverse da quelle colorate e vivaci presenti oggi sui nostri schermi. È necessario attendere fino al 2010 perché vengano tradotte nello standard Unicode e possano diventare una realtà globale.
Da allora tante nuove emoji vengono aggiunte regolarmente dallo standard Unicode che ogni anno seleziona le migliori proposte provenienti da milioni di utenti nel mondo.
A cosa si deve il successo delle Emoji?
L’enorme riscontro che hanno le emoji si deve al fatto che riaffermano il lato umano nel freddo e astratto spazio della comunicazione elettronica.
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